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La carboneria in San Prisco

di Luigi Russo

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Origini  della setta e i rapporti con la Massoneria

Con molta probabilità la genesi più attendibile della società segreta è quella francese e l’epoca della sua nascita è la seconda metà del XVIII secolo, quando si ha notizia dell’esistenza di una setta, denominata dei bons cousins charbonniers (buoni cugini carbonari). In essa confluirono ideali e valori massonici, ma col tempo i programmi politici, sebbene dissimulati entro associazioni di carattere mutualistico professionale cominciarono ad essere predominanti.

Allo stesso tempo la massoneria aveva generato numerose sette e, in accordo con i principi modernizzatori del Secolo dei Lumi, voleva favorire il progresso e la diffusione dei concetti di libertà e uguaglianza degli uomini.

Il rapporto della massoneria con il clero e col cattolicesimo fu molto conflittuale perché pur credendo in Dio (quale “Grande Architetto dell’Universo”) i massoni avversavano i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione.

Nonostante i loro valori essi finirono per farsi piegare o strumentalizzare dal dispotismo napoleonico. Dalla massoneria nacquero diverse sette che finirono per assumere denominazioni diverse, i carbonari, i Filadelfi, gli Adelfi, il Palladio, la Società della Rigenerazione Europea, ec.

La spaccatura fu ancora più netta dopo il colpo di stato del Bonaparte, quando alcune delle predette sette entrarono nell’opposizione repubblicana e antibonapartista, anche se in taluni casi gli adepti provenivano dalle fila militari o erano funzionari dello Stato. Fra esse la Carboneria assunse nettamente una connotazione repubblicana

Più complesso fu l’atteggiamento dei carbonari nei confronti del cattolicesimo perché essi affermavano di trarre ispirazione dall’esempio di Gesù Cristo, nella sua religione, nell’Evangelo, che andava liberata liberato dagli elementi estranei aggiunti dai teologi. In tal modo essi si proponevano anche riformatori religiosi, anche senza il proposito di costituire un movimento religioso alternativo. Essi cercavano un credo che tornasse ai principi cristiani delle origini (fede, umiltà e povertà). Assumendo tali posizioni era inevitabile lo scontro  contro il magistero papale e il suo dominio temporale.

Con Napoleone Bonaparte la Massoneria divenne un centro di propaganda e di organizzazione del consenso.

 

Diffusione nel regno di Napoli

Le prime vendite carbonare in Italia sono documentate nel 1807, quando alcuni “filadelfi” francesi, provenienti sia dalle fila dei quadri militari sia dagli apparati dello Stato, come Pierre Joseph Briot, intendente di Chieti e di Cosenza e poi consigliere di Stato, e il capitano Jacques François Miot, fratello del ministro dell’Interno di Giuseppe Bonaparte. Esse avevano una forte caratterizzazione democratica ed antinapoleonica.

La Carboneria nel regno di Napoli nacque dunque dalla fusione di elementi giacobini e antibonapartista francesi con gli aspetti politici e sociali più radicali della borghesia meridionale. Essa divenne una setta nazionalista e democratica, più aperta alla partecipazione dei ceti popolari, mentre la Massoneria che era più elitaria.

Anche Gioacchino Murat cercò di utilizzare la Massoneria per i suoi fini politici, facendosi nominare Gran maestro e facendola dirigere dal suo ministro dell’Interno Giuseppe Zurlo, come Gran Maestro aggiunto, facendo nominare Venerabili diversi intendenti nei capoluoghi di provincia. Questa riorganizzazione autoritaria e centralistica della Massoneria non fu accettata dalle componenti più estreme, che finirono per confluire nella Carboneria.

Fino alla campagna francese del 1813 la Carboneria non contrastò apertamente il potere del Murat. In tale periodo, grazie al sovvenzionamento e all’azione persuasiva degli Inglesi, i gruppi carbonari cominciarono a mostrarsi nemici dell’occupazione francese, riuscendo a penetrare in modo massiccio anche nell’esercito.

Questo nuovo atteggiamento indusse il 4 aprile 1813 Murat a far chiudere tutte le vendite carbonare. La polizia che già teneva d’occhio e controllava le attività della setta riuscì ad infiltrarsi e a far deliberare il proprio autoscioglimento.

Nel tempo tuttavia la chiusura delle vendite si rilevò un’azione avventata e negativa perché gli individui più moderati lasciarono spazio a quelli di orientamento più radicale, che presero il sopravvento portando il movimento settario verso obiettivi più dichiaratamente antigovernativi e rivoluzionari.

 

L’organizzazione della setta nel territorio capuano

Essa consisteva in una semplificazione formale della Massoneria e per la sua protezione si organizzò in “vendite” composte da pochi adepti, per rendere difficili le infiltrazioni. Le loro attività non erano pubbliche, ma si svolgevano nelle case private in perfetta segretezza.

La sua organizzazione era diretta dal centro, dalla grande vendita, costituita da un ristretto numero di membri, che impartiva gli ordini da far recapitare alle vendite locali, composte da pochi affiliati, i cosiddetti cugini. Questi venivano introdotti nella setta come apprendisti e soltanto dopo aver superato un periodo di prova, venivano introdotti al grado superiore, diventando maestri e poi gran maestri.

Questo tipo di organizzazione consentiva di proteggere le finalità della setta, che erano rivelate agli adepti con gradualità, quando gli adepti erano ritenuti degni di essere iniziati ai segreti. In questo modo nei gradi più bassi di affiliazione si aveva accesso soltanto a discussioni e finalità umanitarie e vagamente democratiche. Mentre i gran maestri accedevano al ristretto club dei rivoluzionari di professione, impegnati nella lotta per la repubblica e per l’uguaglianza sociale.

In Capua dovette esservi un Dicastero, che riuniva più vendite insistenti sul medesimo territorio, al cui vertice vi era un presidente; all’interno di ciascuna vendita erano presenti i gran maestri, i maestri, gli assistenti e i consiglieri, che coadiuvavano i maestri. Gli oratori, ovvero coloro che tenevano discorsi che miravano reclutare nuovi adepti o a convincere maggiormente gli apprendisti, erano a volte sacerdoti o dottori in legge, abituati a tenere discorsi e a convincere le persone. I rituali e le cerimonie delle riunioni della setta erano gestiti e supervisionati da un maestro di cerimonie.

Molta attenzione era posta alla protezione del gruppo sia dall’esterno che dall’interno, per evitare che potessero infiltrarsi fra gli apprendisti personaggi appartenenti a sette reazionarie o agenti della polizia borbonica; fra essi ricordiamo: i Guarda vendita Interni, i Guarda Vendita Esterni e i Guarda bollo e sugello.

Ulteriori ruoli erano dettati dall’organizzazione interna a seconda della complessità del gruppo: le cariche più frequenti erano quelle di segretario, di tesoriere (o anche economo) e di elemosiniere.

 

Abitanti di San Prisco affiliati o sospettati dalla polizia borbonica

Il documento consiste in un registro nel quale sono elencati i carbonari di molte province del regno di Napoli; non conosciamo la data dell’ultimo aggiornamento del registro, ma ipotizziamo che esso non oltrepassi il 1840.

I seguenti nominativi sono elencati in alcuni registri dei carbonari sui quali vi erano fondati sospetti e rapporti di polizia che testimoniavano la loro appartenenza alla setta. Essi erano coloro che rivestivano le cariche più importanti all’interno dell’organizzazione locale. Nella seguente lista non compaiono i semplici affiliati e gli apprendisti; pertanto la loro consistenza era molto più cospicua di quanto possa far pensare l’elenco che segue.

Riscontriamo fra essi diversi benestanti, alcuni esponenti della nuova borghesia e, non deve meravigliare che vi fossero, anche sacerdoti ed ecclesiastici:

 

        Marotta Luigi                                              Gran Maestro;

        Ruggiero Francesco                                               1° Assistente;

        Valenziano Gabriele                                  2° Assistente;

        Cipriano Domenico                                               Oratore;

        del [de] Monaco Antonio, sacerdote       Segretario