L’Associazione Ambiente Tifata nasce nel 1988 con la finalità di
perseguire la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio
naturalistico e culturale del territorio di San Prisco e del Monte
Tifata. Fin dall’inizio ha ritenuto di dover puntare sulle nuove
generazioni, non ancora inquinate dal consumismo e dal benessere a
tutti i costi. Numerose sono state le iniziative che, negli anni,
sono state condotte coinvolgendo gli alunni delle scuole
dell’obbligo.
» Direttore:
Alfonso Rosmino |
» Presidente:
Francesco Monaco |
Le
attività
Nel
1989 è stato avviato un progetto che aveva come finalità il
rimboschimento della località “Bersaglio”, alle falde del monte
Tifata. Il progetto prevedeva il coinvolgimento degli alunni delle
scuole elementari per la generazione in proprio delle essenze da
collocare a dimora, selezionate dopo un attento studio sulla flora
originaria. Nel cortile del plesso “M.Polo”, fu installato un vero e
proprio vivaio didattico dove, in sinergica collaborazione con la
Direzione Didattica e con gli insegnanti, gli alunni delle scuole
elementari si sono alternati, sotto la guida dei nostri esperti e lo
sguardo attento degli insegnanti, nella semina, nel travaso,
nell’irrigazione ecc., dimostrando un entusiasmo e una sensibilità
straordinaria. Dal 1990 al 1992 sono state generate oltre 6000
piantine. Dal 1993 è iniziata la messa a dimora in montagna: nel
1995 erano state piantumate oltre 3000 unità. A causa
dell’interruzione dei lavori di piantumazione, per motivi di
sicurezza legati al ridotto spazio a disposizione, sono state
interrotte le attività di vivaio.
Dal 1997 è stato adottato
il progetto
“Università di Santo Prisco”, ideato da Alfonso Rosmino, finalizzato
alla riscoperta e alla valorizzazione del patrimonio storico e
culturale del territorio di San Prisco e del Monte Tifata.
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L’Associazione nel contesto sociale
Il numero esiguo
dei soci (circa una ventina) e la mancanza di sovvenzioni hanno reso
sempre difficile la sopravvivenza dell’Associazione. Le attività
sociali vengono finanziate e sostenute direttamente dai soci oppure
mediante iniziative finalizzate al reperimento di fondi per finalità
specifiche. E’ stata una scelta specifica e determinata quella di
perseguire fattivamente finalità sociali e culturali, lontano dal
sistema politico e da interessi partitici. E’ aperta a tutte
le persone disponibili ad attività esclusivamente culturali e
naturalistiche, senza distinzione di sesso, nazionalità e credo
politico o religioso
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A spasso per il Tifata
La
scalata al
monte Tifata
é sempre stata un motivo di orgoglio. L'imponenza della montagna e
il percorso
non privo di difficoltà e di fatica rendono emozionante ogni
partenza e appagante ogni ritorno.
Agli abitanti di
San Prisco
che non possono esibire quell' io ci sono stato, quando si
racconta la bellezza paesaggistica dei due versanti, l'aria fine e
salubre, i resti archeologici, la natura incontaminata, il senso di
pace per l'assenza dei rumori della civiltà, mi piace suggerire
alcuni itinerari e osservazioni, frutto di un frequente girovagare
per le nostre colline. Una tappa quasi obbligata e fulcro di ogni
escursione é la località
"Bersaglio",
demanio comunale, un tempo poligono di tiro per esercitazioni
militari, attualmente oggetto di rimboschimento e di recupero
ambientale. Vi si giunge percorrendo la strada che passa a fianco
del cimitero di San Prisco e proseguendo fino all'altezza della
masseria Schettini, per una strada alquanto stretta. In alternativa
si può prendere la strada che porta alla cava Statuto, esempio
eclatante di dissesto ambientale, e imboccare la strada all’altezza
dei serbatoi dell'acquedotto della Campania Occidentale che porta
alla Masseria Schettini. In entrambi i percorsi sono in bella
evidenza cumuli di rifiuti, significativo esempio di inciviltà e di
incuria.
Dall’incrocio presso la Masseria Schettini si prosegue per una
strada rurale, piuttosto stretta ma ancora in buone condizioni, e si
arriva in località
"Bersaglio",
dove si apprezza meglio l'imponenza del
monte Tifata
e si riscontra una più diversificata vegetazione che ha nella
ginestra e nel mirto la più ampia rappresentanza. Proseguendo verso
est si può seguire un piccolo sentiero, adiacente un bosco di
roverelle (un tipo di quercia), che si inerpica lungo una gola
incrociando verdi terrazzi, fino a giungere sul pianoro chiamato
"Montanina", un tempo meta di scampagnate il giorno di pasquetta.
Attraversando il pianoro si giunge alla punta della collina "Croce
Santa" (m. 291), a strapiombo sulla cava Statuto, dove un tempo era
collocata una grande statua in marmo della
Madonna
e dove si può osservare l'ormai esiguo diaframma di calcare che
divide la cava Statuto dalla cava Iodice, ancora attiva. Da qui si
ha una buona
vista della cittadina di
San Prisco e
particolarmente suggestivo è lo sparo dei fuochi d'artificio in
onore di S.Ciro il giorno di pasquetta. Un comodo sentiero
pianeggiante diretto a nord, conduce attraverso un piccolo bosco di
pini alle pendice del monte Sommacco (m.392) dove il sentiero si
stringe e comincia a salire. Proseguendo si aggira la cima del monte
Marmolelle (m. 411) e ci si inoltra in un fitto bosco di lecci (un
tipo di quercia sempreverde) che popolano tutto il versante
settentrionale del Tifata.
Si esce
dal bosco per proseguire lungo il crinale fino alla cima del monte
Tifata (m. 603). Qui si ammira un panorama incantevole: a nord, le
piane di S. Vito e della Fagianeria attraversate dalle sinuose anse
del fiume Volturno; a sud l'intera pianura di Terra di Lavoro con,
in lontananza, il Vesuvio, Monte Faito e le isole di Capri e Ischia.
L'aria
É frizzante e penetra agevolmente nei polmoni; in lontananza si
intravedono veicoli in movimento ma non se ne percepisce il rumore;
si sente distintamente il profumo di menta, di salvia e di origano
ed è possibile scorgere ramarri (grandi lucertole verdi) e macaoni
(bellissime farfalle di grosse dimensioni di colore giallo-nero e
con due cerchi rossi alla base delle ali).
Antichi
resti di imponenti mura di fortificazione testimoniano la posizione
altamente strategica di questo sito. Vale la pena proseguire per
poche centinaia di metri e visitare i resti della
cappella
di S. Nicola, probabilmente
sorta sulla cappella di S. Agata, la Santa eremita che aveva elevato
il monte Tifata a luogo di preghiera e meditazione.
Il più
agevole ritorno si presta ad una più attenta osservazione della
vegetazione, della fauna e del paesaggio.
A chi
non intende cimentarsi con le difficoltà del percorso (di livello
medio), si consiglia un itinerario alternativo, di carattere
storico, archeologico, naturalistico: partendo sempre dall'ex
poligono di tiro, si sale all'esterno lungo la recinzione dell'area
rimboschita; dopo 200-300 metri si devia verso ovest e, in
corrispondenza di un piccolo tumulo, si può osservare una struttura
a forma ellittica, probabilmente
edificio di una villa
romana dell'età imperiale,
come testimoniano alcuni anfratti sparsi intorno, la struttura delle
pareti ad "opus reticulatum", pezzi di mosaico e alcune cisterne
nelle vicinanze col tipico intonaco a cocciopesto, una malta
impermeabilizzante composta da gesso e piccoli frammenti di
terracotta. Del resto non è difficile immaginare che le pendici
meridionali del monte Tifata costituissero la zona residenziale di
una città romana come Capua (l'attuale S. Maria C.V.), per
estensione quattro volte più grande di Pompei e sicuramente molto
più ricca. Proseguendo verso ovest si sale attraversando un canalone
scavato dalle acque piovane. Si arriva sopra un pianoro dove si
possono ammirare i
resti di antiche
fortificazioni militari che
dominano tutta la pianura sottostante. Qui, come racconta Tito Livio,
Annibale insediò gli accampamenti prima dell'assedio di Capua.
L'assedio non avvenne perché la città si assoggettò senza
combattere.
Proseguendo sempre verso ovest ma in discesa, si possono incontrare
delle grotte naturali, evidente esempio di fenomeni carsici, dove é
possibile scorgere delle formazioni di stalattiti e stalagmiti.
All'altezza della recinzione dell’ex tenuta Schiavone, in una antica
cava di pietra, scavata nella parete della roccia, si può ammirare
una bellissima
edicola funeraria
che un liberto (schiavo alienato) commissionò in onore dell'antico
signore, probabilmente un alto magistrato di Capua di nome Caio
Vezio Felice. Si tratta di un monumento tra i più belli e suggestivi
per la sua semplicità ed eleganza.
Sulla
via del ritorno, nei pressi della masseria del Colonnello,
all'interno dell’ex tenuta Schiavone, si intravede un
edificio monumentale,
probabile tomba di un'alta carica militare. Il ritorno in località
"Bersaglio" avviene per un sentiero agevole e pianeggiante.
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Una proposta per il Tifata
La storia del
Tifata, lunga 20 milioni di anni, ha notevolmente condizionato la
vita degli abitanti della valle su cui si erge. La parte pedemontana
meridionale occupa una felice posizione geografica, protetta dai
venti freddi provenienti dal vicino Matese. Inoltre la tipica
composizione litologica (tufo sovrapposto a calcare) è
particolarmente favorevole per la rigogliosità dei pascoli e per lo
sviluppo della flora in generale.
Per tali motivi,
strettamente legati alla salubrità dell'aria, il territorio dove
attualmente si colloca San Prisco, è sempre stato oggetto di nuovi e
continui insediamenti.
Numerosi e
importanti reperti storici e archeologici, stanno a testimoniare:
-
la presenza degli Etruschi nel IV
secolo A.C.;
- un
ricco insediamento residenziale della vicina Capua all'epoca della
Roma imperiale;
- una
continua evoluzione di agglomerati di case e capanne, più volte
distrutti dalle invasioni barbariche, e poi ricostruiti, nel periodo
medioevale.
Si ritiene che la
costruzione della famosa Reggia di Caserta fosse prevista in questa
zona, ma la presenza di un agglomerato urbano ne determinò la
dislocazione a pochi chilometri di distanza.
La presenza e
l'intervento dell'uomo nel territorio Tifatino ha inevitabilmente
alterato l'equilibrio ecologico che la natura ha pazientemente
costruito in molti secoli.
Infatti un fitto
bosco di lecci, che ricopriva il versante meridionale del Tifata,
ospitava fino a qualche secolo fa molte specie animali, come il
cervo, il capriolo, la volpe, il cinghiale ecc., costituendo un
ecosistema tra i più complessi e interessanti che si trovassero in
natura.
L'esigenza di avere
a disposizione sempre più pascoli e terreno da coltivare, dettata da
necessità economiche e di sopravvivenza, ha portato al disboscamento
graduale della zona pianeggiante.
Il successivo
taglio, spesso indiscriminato, di alberi per uso domestico ha
ulteriormente sfoltito l'originaria selva. I frequenti incendi,
spesso causati dall'incuria dell'uomo, hanno determinato un quasi
completo degrado, sia dal punto di vista faunistico che vegetale,
con conseguenze gravi nell'ecologia e nell'assetto del territorio.
Forme di flora
mediterranea, sopravvissute al degrado o ricostituitesi
spontaneamente, stanno ad indicare che l'ipotesi di un recupero
ecologico-ambientale dell'intero versante meridionale del Tifata, è
quantomeno proponibile.
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