L’ULTIMO DEI ROMANTICI DEL CHIANTI CLASSICO
Il
comune è Greve in Chianti (FI), la frazione è Passo dei Pecorai, il
locale si chiama “Ristorante Albergo da Omero”. E’ quì, nel
cuore del Chianti Classico, in questo splendido ed ancora naturale
angolo di Toscana, che ci siamo incontrati e scontrati con uno degli
ultimi sostenitori della purezza della vinificazione del vero, unico
ed inconfodibile Chianti classico. Il Lando furioso, così ci piace
chiamarlo, al secolo Casprini Lando; furioso contro i
mercanti del tempio che con le loro barrique, i loro lieviti, le
loro sofisticate pratiche di cantina, hanno omologato il gusto ed il
sapore di quel capolavoro enologico che risponde al nome di Chianti.
Già al primo incontro, traspare dal personaggio, perché quest’è il
Lando, tutta la forza, l’arguzia, e la passionalità del
toscanaccio vero e puro. Di età indefinita, tra i 60 e 70 anni,
il fisico del gaudente provato da tante fatiche enogastromiche, ma
con una vitalità ed una grinta proprie della sua terra. Inizia con
il suo parlare tipico, storcendo il naso quando gli nominiamo i
gran crù dell’enologia toscana, a tessere le lodi e spiegare le
caratteristiche del vero ed unico (a suo dire) modo di vinificare
il chianti classico: “ San Giovese,Canaiolo,Trebbiano toscano e
Malvasia” sono per il Lando gli unici e soli uvaggi da usare,
sapientemente dosati, per la produzione di quel miracolo enologico
che ha conquistato l’Italia ed il mondo intero. Sono gli stessi,
incalza il Lando, che sono stati usati da secoli. Al solo nominargli
la parola barrique a momenti gli viene un colpo. Per non parlare
quando l’amico comune, Riccardo, gli fa sapere che ha acquistato
vini argentini da internet, apriti cielo. Per poterlo calmare gli
abbiamo chiesto di farci visitare la sua leggendaria cantina. Come
per incanto, ha raddolcito il viso, il tono si è fatto pacato e
suadente e in men che non si dica ci siamo ritrovati in un altro
mondo. Luci basse, per “non dare fastidio al vino” assoluto
silenzio, e davanti a noi, ben allineate come un esercito pronto a
dare battaglia, 36.000 (avete letto bene sono trentaseimila)
bottiglie di Chianti Classico “originale”. Le annate, dal
1908 ad oggi, ci sono tutte. Molte sono ricoperte di polvere
qualcuna non si è ben conservata ma quasi tutte sono in perfetto
stato. Tutto contento ci dice sottovoce che pochi giorni prima ne
aveva aperto, con degli amici, manco a dirlo, una risalente agli
anni 50. Eccellente. Osservare ed ascoltare il Lando nel suo
ambiente naturale, la propria cantina, è un vero e proprio
spettacolo. Parla piano piano e ogni tanto volge un’amorevole
occhiata a quelle bottiglie messe lì in bella mostra quasi come se
volesse accarezzarle con lo sguardo. Quando si ritorna nel mondo
reale è quasi come il ritorno di Alice dal paese delle meraviglie.
Non sai se hai sognato, se ti sei solo immaginato quello che hai
visto e sentito. Ma il Lando è lì con te e capisci che è tutto vero.
Esistono ancora persone come lui. Ma il Lando non è solo un “vinofolo”,
ci piace il termine, o un cultore del chianti classico, ma è anche e
soprattutto un amante del mangiare e fare da mangiare (con il
fondamentale aiuto della moglie Anna, bene e alla toscana.
Nella sua locanda /albergo ci si possono trovare delle vere e
proprie perle culinarie tipiche del suo territorio: le “Crepes alla
Fiorentina” (Crepes fatte in casa ripiene di ricotta e spinaci cotti
in forno e serviti con sugo e besciamella) il Coniglio in Umido e le
Bracioline alla Fiorentina oltre che alla regina della tavola la
“Bistecca di Chianina” che il Lando acquista di persona e con
scrupolosa perizia. Il tutto bagnato, ovviamente , dal Chianti
Classico vecchia maniera della sua cantina. Vi assicuriamo che dopo
un pranzo del genere ed una visita alla cantina del Lando vi
riconcilierete con la vita e benedirete quel toscanaccio
ringraziandolo di essere così com’è e soprattutto gli raccomaderete
di non cambiare mai. Ciao Lando alla prossima visita.
Mimmo Pagano
Si ringrazia per la preziosa
collaborazione l’amico Riccardo Pignatelli.-

________________________________________________________________
CARLO L'ULTIMO FABBRO
Carlo, l'Ultimo
Fabbro, è un uomo di 68 anni, dai capelli bianchi ed il fisico
asciutto, che ogni giorno, alle 7 di mattina, apre l'officina ed
inizia quelle 12 ore di lavoro quotidiano con le quali prosegue una
tradizione che la famiglia conosce almeno dal '500, ma di cui egli
resta l'ultimo rappresentante.
L'Ultimo Fabbro è un uomo di
68 anni, dai capelli
bianchi ed il fisico asciutto, che ogni giorno, alle 7 di mattina
apre l'officina ed inizia quelle
12 ore di lavoro quotidiano
con le quali prosegue una tradizione che la famiglia conosce almeno
dal '500, ma di
cui egli resta l'ultimo rappresentante.
La ferriera, detta "Distendino",
poiché vi si "distende" il ferro, si trova a Piè Lucese, nel comune
di Pescaglia (LU): un luogo incantato, una sorta di ritaglio del
passato a pochi chilometri dalla cosiddetta civiltà.
Non c'è telefono, non c'è l’ENEL, né televisione, né gas, né
riscaldamento, perché Carlo vive il mestiere come un tempo, e lavora
ferro e acciaio usando le stesse tecniche che furono di suo padre,
di suo nonno, del bisnonno, e così via, indietro nel tempo,
resistendo senza troppa fatica alle tentazioni della modernità.
L'ultimo fabbro produce attrezzi per l'agricoltura, il giardinaggio,
il bosco, oggetti decorativi, ed altro ancora, ottenuti di solito da
materiale di scarto, come binari dei treni o balestre dei camion.
Perché visitare questo luogo?
Perché è unico nel suo genere. La
modernità, vista dal Distendino è quasi un optional, utile in certi
casi, ma assolutamente superflua se non dannosa in molti altri...
Il mestiere qui diventa arte e stile di
vita. Senza alcuno stampino, con il fuoco, il maglio, l'incudine, il
martello, e la forza trasformatrice dell'acqua, ogni oggetto
fiorisce da un unico pezzo, come il frutto sboccia da un unico
fiore.
Quando si osserva quel martello
imprimere i colpi nell'acciaio rovente è un intero mondo che si
esprime e si realizza ai nostri occhi. Un mondo quasi scomparso,
fatto di piccoli gesti, di solide abitudini, ma anche di gran
saggezza e di silenziosa fantasia.
Quei colpi, fatti di rischio, di
certezza, d'intenzione, d'immaginazione e di fatica, trasformano la
materia, svelano la sua vera anima, mentre il silenzio, quasi
estatico, quasi imbarazzante, separa un colpo dal successivo,
divenendo attesa, respiro, come l'intercalare fra un battito
cardiaco ed il successivo.
Il Distendino rappresenta così un
profondo esempio di armonia e di unità fra l’uomo, il suo "fare", e
la parte più elementale del nostro mondo. Qui, terra, fuoco, aria ed
acqua, dialogano e s'intersecano.
Qui si realizza il rispetto e l'armonia
fra l'uomo ed il mondo che lo circonda, un rispetto reverenziale,
fatto anche di sfida, di tradizione, ma mai di oltraggio.
L'ingegno della ferriera
Il materiale viene scaldato nella
forgia, la cui fiamma è alimentata dal carbone ma è sostenuta dal
vento prodotto dall'acqua: un sistema idro-eolico del '700, infatti,
sfrutta lo spostamento d'aria che essa provoca quando cade e
s'infrange. L'acqua dà vita al fuoco.
Numerosi anche i macchinari letteralmente inventati da Carlo e
realizzati con pezzi rimediati qua e là.
Ammireremo il miracolo della materia che
si trasforma e si lascia plasmare, come educata da un esperto
domatore, che del paziente e silenzioso incedere, ha fatto i segreti
della propria arte.
Il luogo
Siamo in mezzo al bosco, pranzeremo nei
pressi del torrente Pedogna, e lì sosteremo per meditare, lasciando
che la natura, attraverso i suoni, gli odori, i colori, possa
entrare in noi e per alcuni minuti ricondurci a sé.
Successivamente visiteremo altri luoghi,
sempre percorrendo l'agile sentiero, compresa una piccola chiesetta
costruita attorno a una pietra, dove si narra, sia apparsa la
Madonna agli inizi del '900, una piccola grotta dove ogni anno viene
realizzato un presepe molto suggestivo.
L'ottima cena di un tempo
Per completare in bellezza la giornata
avremo modo di apprezzare i sapori locali cenando al bellissimo
ristorante Molin della Volpe, ricavato da un'antica cartiera
dell'800.
Il menù prevede assaggi di sapori di una
volta, preparati con ingredienti autentici.
Fonte: Anna Russo – educazione alimentare –
www.supereva.it
________________________________________________________________
Certamente
Enea quando sbarcò su queste coste, esule dalla perduta Troia, per
interrogare la Sibilla Cumana rimase incantato dalla suggestione di
questi spazi sospesi tra la montagna ed il mare. Luoghi, questi, che
al viaggiatore stanco offrono amenità e riposo in una sorta di dolce
oblio, di limbo terreno a cui l’anima ed il corpo piacevolmente si
abbandonano. E’ in questo angolo di Campania flegrea che domina, è
proprio il caso di dirlo, il locale di Nicola SCUOTTO e della
moglie Amelia. Il “DE GUSTIBUS”, questo è il nome del
ristorante, si erge maestoso dominando il lago d’Averno,
affacciandosi su quieti declini che si adagiano nel mare flegreo.
Basterebbe già quest’incanto, impareggiabile e difficile da
descrivere, a soddisfare il cliente più esigente. Ma questo è solo
il preludio. L’inizio per una vera e proprio esplosione di sapori.
Una Piedigrotta di sensazioni gustative che sommergono l’avventore
che resta sempre in bilico tra il degustare le prelibatezze
preparate dallo chef Michele TIANO e il godersi le amenità delle
bellezze naturali. Per i fortunati che decidono di trascorrere un
po’ di tempo in quelle zone godendo delle raffinatezze culinarie di
Michele, vi consigliamo l’imperdibile genovese di mare: ovvero le “Trofie
con vellutata di porri con frutti di mare”. Il pesce,
rigorosamente freschissimo e quindi limitato al pescato giornaliero,
è servito in tutti i modi e le maniere della zona. Per gli amanti
delle sensazioni speziate vi suggeriamo, tra gli altri, quale
ottimo finale la “Sfogliata di Mandorle”. Un dolce composto
di pasta sfoglia con crema di mandorle servito su salsa di
cannella. Per i vini, inutile dirlo, Falanghina dei Campi Flegrei
e/o Piedirosso dei Campi Flegrei. Per i contatti e prenotazioni:
80070 Bacoli (NA), via Omero, 34.
Info-line tel. 081/8040388; cell. 347/7032863.-
|